Nel maggio del 1586, nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli, furono celebrate le nozze del principe Carlo Gesualdo da Venosa, formidabile suonatore di liuto, scrittore di madrigali e
musica sacra, apprezzato per la sua musica polifonica, e sua cugina Maria D'Avalos, bellissima donna dai lineamenti dolci e irresistibili.
Un matrimonio senza amore, utile a evitare che il patrimonio familiare potesse ritornare nelle casse del Papato.
In effetti, dopo la nascita del primogenito Emanuele, Carlo ritornò a comporre le sue liriche, senza più dar conto alla propria moglie.
La quale, durante una festa a corte, si innamorò del duca d'Andria e conte di Ruvo, l'avvenente Fabrizio Carafa.
La passione li travolse al punto tale da fare scandalo senza curarsi delle voci altrui, che si facevano sempre più insistenti.
Nemmeno la notizia di un fidato amico di Carlo Gesualdo fece distrarre il musicista dalle sue carte; neanche quella dello zio Don Giulio il quale, avendo corteggiato la bella Maria e ricavandone
un oltraggioso rifiuto, si vendicò a suo modo.
il principe di Venosa, però, non ne era completamente immune, e studiò un piano per fugare via ogni minimo dubbio sulla fedeltà della sua sposa. Comunicò a tutti che la sua battuta di caccia nel
bosco degli Astroni sarebbe durata più giorni, così vi si recò in compagnia di un manipolo di servi.
Ma nella notte tra martedì 16 e mercoledì 17 ottobre dell'anno 1590, appena due giorni dopo la sua partenza, egli ritornò senza preavviso e di corsa si recò nella stanza da letto di Maria
D'Avalos.
La trovò tra le braccia del suo amante e, mosso dalla vendetta, si lanciò sul letto e li pugnalò ripetutamente.
All'alba del giorno seguente Carlo adagiò il corpo privo di vita di Maria all'ingresso del Palazzo e lasciò che tutto il popolo si accalcasse intorno al cadavere per vederne il ventre squarciato
dalle coltellate.
A Carlo non restò altro da fare che scappare via da Napoli, sotto consiglio del viceré Miranda, per evitare la vendetta delle famiglie D'Avalos e Carafa. Per la legge dell'epoca, un assassinio di
questo tipo era contemplato.
Si rinchiuse per diciassette anni nel castello-fortezza di Gesualdo.
Dalla notte dell'uxoricidio in poi, per secoli, coloro i quali abitavano nei pressi del Palazzo potevano udire distintamente le urla di Maria D'Avalos. Ogni singola notte.
In più, il castello e chi lo abitava sono stati maledetti fino alla settima generazione.
Questo fino al 1889, quando un'ala del castello cedette e crollò. Era la zona in cui sorgeva anche la stanza in cui si era consumato il peccato e l'omicidio.
Dal giorno del crollo, però, si dice che tra l'obelisco di San Domenico Maggiore e il portale del palazzo di Sangro dei Principi di San Severo si aggira una figura femminea eterea, tanto stupenda
quanto spaventata, o almeno la si sente urlare o singhiozzare.
Alcune voci sottolineano che durante le notti di luna piena questo fenomeno è più definito.
- Quando Maria e Fabrizio furono uccisi, si insiste nel dire che a sporcarsi le mani non fu il marito ma gli scagnozzi di Carlo Gesualdo, il quale avrebbe gustato la sua vendetta in una stanza
attigua alla camera da letto.
- Durante la mattina in cui il corpo nudo di Maria D'Avalos fu mostrato al popolo all'ingresso del Palazzo, si narra che, una volta diradatasi la folla, un monaco domenicano, gobbo e di
brutt'aspetto, approfittò del corpo esangue della fedifraga.
- Torquato Tasso conobbe durante un incontro tra musicisti e poeti dell'epoca Carlo Gesualdo, dal quale fu mantenuto per molti anni.
Gesualdo musicò vari e molti testi di Tasso, ma la loro amicizia volse al termine quando dopo aver ucciso la moglie, Carlo seppe che non solo il suo amico Torquato era già a conoscenza
dell'infedeltà di Maria, ma che ne aveva immortalato ed elogiato l'infedeltà con ben quattro sonetti (il più conosciuto "In morte di due nobilissimi amanti").
- Durante la sua permanenza quasi bidecennale nella fortezza longobarda di Gesualdo, per paura di una ritorsione da parte delle famiglie D'Avalos e Carafa, si crede che egli fece radere al suolo
l'intero bosco di abeti e querce che lo circondava.
Gli tornava utile per tenere d'occhio tutto il feudo.
- Un'altra leggenda poco accreditata vuole che durante il periodo di fuga Carlo, preso da un attacco incontrollabile di paranoia, si fosse scagliato contro il figlio avuto con Maria e l'avesse
ucciso barbaramente.
Pare che il piccolo Emanuele somigliasse troppo al duca Fabrizio.
- Il corpo di Fabrizio Carafa fu affidato al gesuita Carlo Mastrillo per esser seppellito accanto ai suoi familiari; quello di Maria D'Avalos alla contessa di Travetto, sua zia, per
ricongiungersi al suo primo marito avuto a 15 anni (Maria era stata vedova già due volte prima di sposarsi con Carlo Gesualdo).
Entrambi dovevano essere sepolti nella chiesa di San Domenico Maggiore. Ma non ci sono mai stati: nella prima metà degli anni '90 l'università di Pisa ricevette l'incarico di scoperchiare le
arche in cui dovevano essere trovate le spoglie mortali dei due amanti.
Nella numero undici furono trovati dei resti che, per i tagli riportati sulle ossa, si suppose fossero stati di Fabrizio Carafa (anche se c'è chi parla di Ferdinando D'Avalos).
Maria, invece, non è stata mai trovata.
Piazza San Domenico Maggiore
80138, Napoli
Campania - Italia
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